Éclat, 1987

Su ognuna delle basi, collocate a intervalli regolari lungo i lati dello spazio espositivo, una fotografia del disegno planimetrico dell’ambiente medesimo riproduce la disposizione delle stesse basi, così come un tracciato di rette che definiscono il cono visuale dello sguardo orientato dai quattro angoli dello spazio e da ciascuna base verso il centro. I disegni sono sagomati, in modo da segnalare di volta in volta allo spettatore la porzione del suo campo visivo corrispondente a quel punto di vista. Sulle fotografie trattenute da una lastra di vetro, i frammenti del calco in gesso di una testa apollinea indicano l’impossibilità di una visione compiuta, sottolineando la parzialità di ciascun punto di vista che coglie sempre e soltanto un particolare dell’insieme.
Il titolo – la locuzione francese significa “scheggia” o anche “scoppio”, la scelta linguistica è riconducibile alla prima presentazione dell’opera in Francia – pone in risalto il frazionamento dell’unità visuale e la frantumazione di un tutt’uno che resta precluso allo sguardo.